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sabato 14 aprile 2012

Le "Nozze Aldobrandini"


Le Nozze Aldobrandini sono una pittura romana ad affresco della seconda metà del I secolo a.C., conservata presso l'omonima sala della Biblioteca Apostolica Vaticana, che rappresenta una scena di matrimonio, con la partecipazione di Imene e Venere.
A lungo ritenuta copia di un originale ellenistico del IV secolo a.C., è invece un prodotto originale della pittura romana di età augustea.
Il dipinto fu trovato a Roma nel 1601 durante alcuni scavi effettuati a scopo antiquario presso la chiesa di San Giuliano, poco oltre la Porta Esquilina ("Arco di Gallieno"), quindi in un'area interna al perimetro dell'attuale Piazza Vittorio, occupata in antico dagli Horti Maecenatis e dagli Horti Lamiani.
Acquistato dal cardinal Cinzio Passeri Aldobrandini, da cui assunse il nome, nel 1604 entrò a far parte della collezione di opere d'arte ospitata all'interno di Villa Aldobrandini al Quirinale; dopo una breve permanenza (1814-1818) nella collezione privata dell'imprenditore Vincenzo Nelli, il dipinto fu ceduto per 10.000 scudi a papa Pio VII, che lo sistemò nella "Sala di Sansone" della Biblioteca Apostolica, ove si trova tuttora.
Nel corso del tempo l'opera ha subito tre importanti interventi di restauro: tra il 1605-1609 ad opera di Federico Zuccari, fra il 1814-1818 per mano di Domenico Del Frate ed infine nel 1962.

(continua)

Nozze Aldobrandini (BAV)

Roma, Esquilino. Tempio di Minerva Medica

Il cosiddetto tempio di Minerva Medica è un edificio romano situato in via Giolitti, nel Rione Esquilino di Roma. L'imponente costruzione a cupola, ben visibile dai treni che entrano o escono dalla stazione Termini, risale presumibilmente all'inizio del IV secolo d.C. e si trova oggi stretta, in una situazione urbanistica di degrado, tra i binari ferroviari ed i brutti palazzi costruiti alla fine del XIX secolo per il Nuovo Quartiere Esquilino.
L'edificio non è un tempio, come fu erroneamente creduto per lungo tempo, ma una sala monumentale entro il recinto d'una lussuosa residenza extraurbana che occupava in antico la zona, tra la Chiesa di Santa Bibiana e Porta Maggiore, sull'asse viario che usciva dalla Porta Esquilina, corrispondente probabilmente al complesso degli Horti Liciniani.


Il ninfeo degli Horti Liciniani, all'incrocio fra via Giolitti e via Pietro Micca

mercoledì 4 aprile 2012

Roma, Esquilino. Horti Liciniani

Gli Horti Liciniani erano dei giardini situati a Roma sul colle Esquilino, tra la via Labicana e la via Prenestina, a ridosso delle Mura aureliane. Confinavano a nord con gli Horti Tauriani e ad ovest con gli Horti Pallantiani e gli Epaphroditiani.
Essi presero il nome dalla gens Licinia che li possedeva. Nel III secolo d.C. furono di proprietà dell'imperatore Licinio Gallieno (253-268 d.C.), che li mise in comunicazione con i vicini Horti Tauriani e vi realizzò una lussuosa residenza imperiale extraurbana, ricordata come Palatium Licinianum in documenti del IV e V secolo, da localizzarsi presso la chiesa di Santa Bibiana.

(continua)
Horti Liciniani (Wikipedia)


lunedì 26 marzo 2012

Valeria Silvia Mellace

VALERIA SILVIA MELLACE (Catanzaro, 12 dicembre 1970 – Roma, 28 dicembre 2008) è stata un'archeologa italiana, esperta in epigrafia e geoarcheologia.
Dopo la laurea in Lettere con una tesi in “Epigrafia ed Antichità Romane” presso l'Università di Roma "La Sapienza" (1996), ha conseguito il Diploma di specializzazione in Archeologia con uno studio per l’allestimento di una sezione del Museo “Le Paludi” di Celano (L’Aquila).
Nel 1996-97 ha collaborato al riordino della collezione epigrafica dell’Antiquarium Comunale del Celio (Roma).
Ha intercalato l'attività di direzione degli scavi archeologici con approfondimenti nel campo della geoarcheologia, sviluppando ricerche sull'area del Fucino (2001-2003).
I suoi interessi di studio hanno spaziato dall’epigrafia alla museologia, all’archeologia protostorica, alla fotografia museale, alla biblioteconomia, alla strutturazione di database funzionali all’elaborazione della cartografia GIS.
Dopo gli scavi formativi effettuati presso Lavinium (Pratica di Mare, RM), in Calabria (Scolacium, Capo Colonna) e al Palatino (santuario della Magna Mater), fra il 1999 ed il 2008 ha partecipato con ruoli direttivi ad indagini geoarcheologiche e scavi a Corcolle (RM), a Celano (AQ), nel Suburbio di Roma (XV Municipio: via Portuense-Vigna Pia, Muratella, Idrovore della Magliana, via Ricci Curbastro, via L. Pierantoni, via Astolfi); nell'Urbe ha scavato presso il Foro Romano (Templum Pacis), il monte Testaccio (dal 2004, con la Missione Archeologica Spagnola dell’Università di Barcellona), l'area degli ex-Mercati Generali (via Ostiense) e del “Nuovo Mercato Testaccio” (via Galvani / via Franklin).
Nel marzo 2009, nel corso di una giornata di studi organizzata a Roma in sua memoria, è stata proposta a suo nome l'istituzione di un premio di ricerca riservato a giovani archeologi che, lavorando con rigore, intelligenza e tenacia, dimostrino di saper guardare l'archeologia "con gli occhi di Silvia", contribuendo così a ricordare la figura della giovane studiosa prematuramente scomparsa.


PUBBLICAZIONI
  • G.L. Gregori (a cura di), La collezione epigrafica dell'Antiquarium comunale del Celio. Inventario generale - Inediti - Revisioni - Contributi al riordino (Tituli, 8), Roma, 2001: 157 n° 60; 295 n° 253; 304 n° 270; 318-9 n° 301; 320-1 n° 305.
  • V.S. Mellace et al., Geoarchaeological Study of the Fucino basin (Abruzzo, Italy) poster presentato nella 6th Conference of Italian Archaeology, organizzato da Communities and Settlements from Neolithic Age and Early Medieval Period of University of Groningen, the Netherlands (April, 13-17, 2003).
  • Miscellanea greca e romana XVIII, 1994: 195-6 n° 14; 237 n° 57: 268-9 n° 90.
  • M.C. Grossi, V.S. Mellace, Località Vigna Pia. Area necropolare (Municipio XV), in Bollettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma CIII, 2002: 349-353.
  • M.C. Grossi, V.S. Mellace, Roma. Via Portuense: la necropoli di Vigna Pia, strutture e rituali, in Histria Antiqua 13, 2005: 397-406.
  • V.S. Mellace, S. Festuccia, Via B. Franklin, 2005, in www.fastionline.org
  • M.C. Grossi, V.S. Mellace, Vigna Pia (Municipio XV). Area necropolare, in AA.VV., Roma. Memorie del sottosuolo. Ritrovamenti archeologici 1980-2008, Milano 2006: 505-510.
  • M.C. Grossi, V.S. Mellace, Roma, via Portuense: la necropoli di Vigna Pia, in Körpergräber des 1. – 3.
  • Jahrhunderts in der Römischen Welt (Internationales Colloquium Frankfurt am Main 19-20. November 2004), in Schriften des Archäologischen Museums Frankfurt, Bd. 21, 2007: 185-200.
  • V.S. Mellace, G. Verde, Rapporto preliminare sulle indagini archeologiche condotte nell'area del "Nuovo Mercato Testaccio”, in Analecta Romana Instituti Danici XXXII, 2006: 43-50.
  • V.S Mellace et al., Il più grande scavo aperto a Roma, in Forma Urbis, anno XII, n° 3, marzo 2007: 28-37.
  • A. Gallone, S. Zottis, L'archeologia con gli occhi di Silvia. Atti della giornata di studi per ricordare Valeria Silvia Mellace (Roma, 7 marzo 2009), Roma, Prampolini,  2011.

lunedì 28 novembre 2011

La villa di Caligola. Un nuovo settore degli Horti Lamiani scoperto sotto la sede dell'ENPAM a Roma

Un nuovo settore degli Horti Lamiani scoperto sotto la sede dell'ENPAM a Roma
di Mariarosaria Barbera, Salvo Barrano, Giacomo de Cola, Silvia Festuccia, Luca Giovannetti, Oberdan Menghi e Manola Pales

Abstract
La pubblicazione è relativa allo scavo archeologico realizzato sotto la sede dell'ENPAM a Roma (Rione Esquilino) fra il 2006 ed il 2009 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica di Roma.
Lo scavo ha interessato un nuovo settore degli Horti Lamiani, giardini di eccezionale rilievo storico-topografico, inizialmente di proprietà del console L. Elio Lamia, trasferiti nel demanio imperiale forse già sotto Tiberio (14-37 d.C.) ed in seguito acquisiti da Caligola (37-41 d.C.) che vi stabilì la propria residenza.
Il sito fu già in passato teatro di importanti scoperte archeologiche ed antiquarie (ad es. la Venere Esquilina, il busto di Commodo e l’Ephedrismòs ai Musei Capitolini, il Discobolo Lancellotti al Museo Nazionale Romano, le statue dal complesso termale di via Ariosto alla Centrale Montemartini), che avvennero in gran parte sul finire dell’800 durante i lavori di urbanizzazione del Nuovo Quartiere Esquilino, quando furono documentati in maniera frammentaria ed affrettata alcuni nuclei della proprietà imperiale, poi sacrificati per l’urgenza di costruire.
Lo scavo ha rimesso in luce un settore finora sconosciuto degli Horti Lamiani, prossimo all’area dove Rodolfo Lanciani aveva documentato un lungo criptoportico arricchito da un pavimento in alabastro e da preziose decorazioni parietali, scandito da colonne in giallo antico con basi in stucco dorato, il cui arredo trova riscontro nella testimonianza delle fonti letterarie (Philo. Iud., Leg. Ad Gaium 351 ss.).
Il nuovo settore individuato sotto la sede dell’ENPAM è incentrato intorno ad un’aula di rappresentanza (400 mq), originariamente rivestita da sectilia, dotata di ambienti di servizio e d’una fontana (riportata nella FUR tav. 24 assieme a due dei tre ambienti annessi). Il complesso è articolato in terrazze-giardino contenute da strutture in opera reticolata, con un tratto di strada basolata connessa alla via Labicana, forse il limite della proprietà.
L’aula va attribuita agli interventi di Severo Alessandro (222-235 d.C.), testimoniata all’Esquilino anche dalla costruzione dei “Trofei di Mario” e da alcune fistulae aquariae (es. CIL XV, 7333) che provano l’esistenza d’un complesso rientrante nel patrimonio personale dell’imperatore; raffinatissimi i centinaia di frammenti d’intonaci dipinti e i materiali decorativi di pregio, databili a partire dall’impianto della residenza imperiale e recuperati nel corso dello scavo. Il nuovo settore può collegarsi al complesso scoperto da Lanciani per il ritrovamento, elementi marmorei decorativi identici a quelli venuti in luce nel XIX secolo, che sono oggi conservati ai Musei Capitolini.
I livelli più antichi si riferiscono alle fasi d’impianto della villa e, ancor prima, alla necropoli esquilina, non ancora investigata, ma attestata dalle fonti letterarie e in età moderna da Giovanni Pinza (Mariarosaria Barbera, Oberdan Menghi, Manola Pales).


domenica 27 novembre 2011

La domus di via Goito a Roma

di Oberdan Menghi e Manola Pales


Abstract
Strutture murarie in opera mista (reticolato con ricorsi di laterizi) afferenti probabilmente ad una domus azzerata con il tracciamento di via Goito nel corso delle opere per Roma Capitale (1873-1883), sono state ritrovate durante la posa della linea elettrica ACEA a 150 kV «Forte Antenne-Quirinale» tra i nn. civv. 24 e 28 di via Goito alla prof. di m –0.37 spc. Le strutture murarie hanno spessore di 3 p.r. e sono conservate per appena m 0.40 rispetto al loro piano di spiccato, rappresentato da un marcapiano di bipedali.
Lo scavo ha rivelato l’esistenza di tre ambienti di cui non possono precisarsi le dimensioni, fatta eccezione per l’ambiente III (lungh. 18 p.r. ca; largh. 10 p.r.). In quest’ultimo, probabilmente dotato di un accesso verso est, sono stati eseguiti due saggi di approfondimento; nessuna traccia si è trovata del pavimento, mentre è stato possibile evidenziare le fondazioni in opera cementizia gettata entro cavo armato di sbadacciature.
Nell’ambiente II l’indagine si è arrestata su un crollo d’intonaci di colore rosso, in sito, che non è stato rimosso per il carattere speditivo dell’intervento. Nell’ambiente I la presenza di uno strato d’intonaco moderno attesta una frequentazione fino al XIX secolo (Villa Alberini?)
L’orientamento generale delle strutture appare coordinato con un asse stradale a S/SO, da identificarsi probabilmente con il tracciato costeggiante il vallo dell’agger, in raccordo fra la via Nomentana e la via Tiburtina, all’esterno dell'opera difensiva.
Via Goito, angolo via Montebello 63. Un muro in opera mista di laterizi e tufelli (largh. 3 p.r.) trovato a m –1.70 spc è facilmente attribuibile al complesso della domus sopra descritta per l’orientamento, la tipologia, la tecnica e la qualità della cortina muraria.
Via Goito 16/18. Sono stati individuati resti di fondazioni in cementizio in cavo libero (spess. 2 p.r.), presumibilmente attribuibili alla domus per il coerente orientamento (Oberdan Menghi, Manola Pales).



La domus di via Goito a Roma -

sabato 30 luglio 2011

Domus L. Octavii Felicis: la casa ritrovata

di Oberdan Menghi e Manola Pales


Abstract
Sul finire del novembre 1872 il Lanciani scoprì poco ad est dell’incrocio fra le vie Manin e Giolitti (all’epoca via Principessa Margherita) i resti d’una piccola ma lussuosa domus che il ritrovamento di una fistula aquaria iscritta di III secolo d.C., L(ucius) OCTAVIVS FELIX C(larissimus) V(ir) (CIL XV, 7503), consentì di attribuire ad uno specifico proprietario esponente dell’ordine senatorio, subito identificato con un già noto personaggio vissuto in età severiana. 
La datazione delle strutture, corroborata dalla tipologia del complesso, fu fatta giungere fino agl’inizi del IV secolo d.C.
Nel maggio 1998, lo scavo di un pozzo (P8) propedeutico alle operazioni di microtunneling per l’adeguamento del sistema fognario di Piazza dei Cinquecento e di alcune vie limitrofe, ha portato al ritrovamento di un ambiente pavimentato con un mosaico geometrico a motivo meandriforme, che risulta già delineato nella icnografia redatta da Lanciani all’epoca del primo intercettamento della domus.
Concludendo, altri ambienti della piccola domus sono stati rimessi in luce fra il 9 settembre 1998 ed l’11 gennaio 1999 nell’ambito dei lavori di riqualificazione della Stazione Termini, consentendo di integrare non poco la planimetria del complesso a N e NE; le strutture rinvenute da ultimo risultano, infatti, perfettamente coordinate negli orientamenti con la pianta ottocentesca. 
La tipologia stessa dell’insieme, caratterizzata dalla presenza di ambienti polilobati in opera vittata tipici dell’architettura tardoantica, consente, inoltre, di sostenere con forza l’afferenza dei resti ritrovati alla domus appartenuta al senatore Lucio Ottavio Felice (Oberdan Menghi e Manola Pales).


Domus L. Octavii Felicis. La casa ritrovata -

Le ossa della Stazione: il cimitero dei poveri a Termini

di Oberdan Menghi e Manola Pales


Le ossa della Stazione. Il cimitero dei poveri a Termini -

Ficana: una pietra miliare sulla strada per Ostia

di Oberdan Menghi


Ficana. Una pietra miliare sulla strada per Ostia -

venerdì 29 luglio 2011

La necropoli di epoca repubblicana in via Goito a Roma

di Oberdan Menghi e Manola Pales


La necropoli di epoca repubblicana in via Goito a Roma -

mercoledì 27 luglio 2011

Roma, Esquilino. Horti Lamiani

Gli Horti Lamiani erano giardini di eccezionale rilievo storico-topografico situati sulla sommità del colle Esquilino a Roma, nell'area grossomodo corrispondente all'attuale piazza Vittorio Emanuele II (Rione Esquilino).
Inizialmente di proprietà del console del 3 d.C. Lucio Elio Lamia, furono trasferiti nel demanio imperiale forse già sotto Tiberio (14-37 d.C.) ed in seguito acquisiti da Caligola (37-41 d.C.), che vi stabilì la propria residenza e vi fu anche seppellito per breve tempo dopo la morte (Suet. Caligula 59).
Sappiamo che erano confinanti con gli Horti Maecenatis e che sotto Claudio (41-54 d.C.) essi, riuniti agli Horti Maiani, furono amministrati da un apposito soprintendente (procurator hortorum Lamianorum et Maianorum).
Il sito fu a partire dal XVI secolo teatro di importanti scoperte archeologiche ed antiquarie, come il Discobolo Lancellotti al Museo Nazionale Romano e le "Nozze Aldobrandini" alla Biblioteca Apostolica Vaticana, ma la maggior parte delle scoperte avvennero sul finire del XIX secolo durante i lavori di urbanizzazione del Nuovo Quartiere Esquilino, quando furono documentati da Rodolfo Lanciani in maniera frammentaria ed affrettata alcuni nuclei della proprietà imperiale, poi sacrificati sotto la spinta dell'urgenza edilizia.

(continua)
Horti Lamiani (Wikipedia)